Londra, 29 dicembre 2020

FRANCESCO BECCHETTI, francesco.becchetti@pec.it


ON. GIUSEPPE CONTE
Presidente del Consiglio dei Ministri
Piazza Colonna, 370
00186 - Roma

e

ON. LUIGI DI MAIO
Ministro degli Affari Esteri
e della Cooperazione Internazionale
Piazzale della Farnesina, 1
00135 – Roma

e per conoscenza

Presidente della Repubblica
Palazzo del Quirinale
Piazza del Quirinale
00187 – Roma

Consigliere Diplomatico
Presidenza della Repubblica
Palazzo del Quirinale
Piazza del Quirinale
00187 – Roma

Consigliere Diplomatico
Presidenza del Consiglio dei Ministri
Palazzo Chigi Piazza Colonna, 370
00187 – Roma

Capo del Servizio per gli affari giuridici,
del contenzioso diplomatico e dei trattati
Ministero degli Affari Esteri
e della Cooperazione Internazionale
Piazzale della Farnesina, 1
00135 – Roma

Segretario Generale
Ministero degli Affari Esteri
e della Cooperazione Internazionale
Piazzale della Farnesina, 1
00135 – Roma

Trasmessa a mezzo pec

 

Oggetto: Richiesta di protezione diplomatica nei confronti della Repubblica d’Albania a seguito della mancata esecuzione del lodo definitivo reso dal tribunale arbitrale ICSID e comunicato alle parti il 24 aprile 2019, ai sensi della Convenzione ICSID del 1965.

Signor Presidente del Consiglio, Onorevole Signor Ministro degli Affari Esteri, 

Mi rivolgo alle SSLL per chiedere al Governo italiano di intervenire in protezione diplomatica a tutela della mia persona in relazione alla flagrante violazione da parte della Repubblica d’Albania dei suoi obblighi in base al lodo arbitrale reso il 24 aprile 2019 da un tribunale costituito ai sensi della Convenzione sulla risoluzione delle controversie in materia di investimento tra gli Stati ed i cittadini di altri Stati (di seguito la “Convenzione ICSID”) nel caso No. ARB/15/28 tra Hydro S.r.l., Costruzioni S.r.l., Francesco Becchetti, Mauro De Renzis, Stefania Grigolon e Liliana Condomitti e l’Albania (di seguito anche la “Decisione ICSID”).

Ai sensi della Decisione ICSID, che ha accertato la responsabilità dell’Albania per illegittima espropriazione degli investimenti, l’Albania deve pagare agli investitori – incluso il sottoscritto, in quanto cittadino italiano – un significativo risarcimento monetario. Tuttavia, ad oltre cinque anni dall’illegittima espropriazione e dopo quasi due anni dall’emanazione della Decisione ICSID, l’Albania si rifiuta di adempiere agli obblighi ad essa imposti da tale decisione e dalla Convenzione ICSID, di cui essa è parte contraente.

L’art. 27 (1) della Convenzione ICSID, di cui anche l’Italia è parte contraente, contempla espressamente e prevede che l’Italia possa intervenire a tutela dei propri cittadini nell’esercizio della protezione diplomatica proprio in una situazione del genere in cui “l’altra Parte contraente [nella specie, l’Albania] abbia omesso di ottemperare ed eseguire il lodo reso”.

Confido che i fatti e le considerazioni che verrò ad esporre indurranno il Governo italiano ad accogliere positivamente la mia richiesta. Sono certo che l’accoglimento delle presente istanza indurrà l’Albania ad ottemperare a sua volta agli obblighi internazionali derivanti dalla Decisione ICSID.

I. Esposizione dei fatti che giustificano la richiesta di protezione

Sebbene i fatti su cui la mia richiesta si fonda siano notori, mi sembra doveroso un richiamo, sia pur sintetico, alla storia della mia attività di imprenditore in Albania (§ 1). A seguire, dopo aver esposto nel dettaglio le circostanze di fatto e la condotta del Governo albanese (§ 2), nonché le azioni intraprese per tutelare i miei diritti (§ 3), illustrerò le gravi violazioni del diritto internazionale perpetrate dall’Albania così come accertate nella Decisione ICSID (§ 4). Il titolare ultimo dei diritti corrispettivi agli obblighi internazionali violati è la Repubblica italiana, in ragione della cittadinanza e nazionalità italiana, rispettivamente, della mia persona e delle società appartenenti al mio gruppo imprenditoriale, vittime materiali delle violazioni in questione, compreso il diritto alla esecuzione del lodo ICSID in questione.

1. Gli investimenti in Albania

Sono un imprenditore italiano che, dai primi anni 90, ha avviato in Albania una serie di rilevanti investimenti per il tramite di varie società riconducibili al mio gruppo imprenditoriale. Tra i primissimi progetti vi era quello relativo alla costruzione e gestione di una centrale elettrica nella stretta di Kalivac sul fiume Vjosa. A tal fine, ho fondato nel 1995 la BEG S.p.A, che nel maggio 1997 fu la prima società estera a proporre ed ottenere dal Governo albanese una concessione trentennale per la realizzazione e gestione della centrale. Nel quadro del progetto Kalivac, BEG stipulava un accordo di collaborazione prima con Enel S.p.A, nel 1999, e poi nel 2000 con la controllata al 100% Enelpower S.p.A, in cui Enel, ai sensi del D.lgs. 16 marzo 1999, n. 79, aveva fatto confluire il ramo di azienda relativo alla realizzazione di centrali elettriche per il gruppo Enel.

Nel corso degli anni ho portato avanti con massima determinazione e professionalità la realizzazione della centrale, operando nel più scrupoloso rispetto delle leggi vigenti in Italia e in Albania e delle condizioni previste dalla concessione. Grazie al mio impegno e alle mie capacità imprenditoriali, il progetto Kalivac, primo per dimensioni e valore tra le molte analoghe iniziative in seguito autorizzate dal Governo albanese nel settore energetico, è riuscito a raggiungere un avanzato stadio di realizzazione, con il completamento di circa il 40% dei lavori complessivi e costi per decine di milioni di euro. E ciò a dispetto sia delle innumerevoli criticità causate dalle condotte del gruppo Enel fin dall’anno 2000, sia delle avversità geopolitiche dovute alla crisi finanziaria mondiale.

A partire dal 2012, ho, inoltre, avviato nel mercato albanese una nuova ed importante iniziativa imprenditoriale, che ha portato nell’arco di pochi mesi (il 5 aprile 2013) alla creazione di Agon Channel, un centro di produzione televisivo internazionale e una nuova emittente in grado di competere, per contenuti e tecnologie, con i maggiori operatori televisivi europei.

Grazie ad un investimento iniziale di circa 40 milioni di euro, Agon si è presto candidata a diventare la nuova realtà di punta del mercato radiotelevisivo albanese, distinguendosi per il carattere libero dell’informazione.

In data 1° dicembre 2014, nell’ambito del progetto che prevedeva l’apertura di canali in tutta Europa, Agon ha cominciato a trasmettere anche in Italia (sul Canale 33 del digitale terrestre) sulla base di format prodotti per la maggior parte in Albania, con la partecipazione di molti volti noti del mondo italiano dello spettacolo, dello sport e del giornalismo.

2. La campagna persecutoria del Governo Rama

Pochi mesi dopo il lancio del canale televisivo - che si proponeva come operatore indipendente e libero in un mercato notoriamente caratterizzato da un elevatissimo tasso di politicizzazione[1]- e in coincidenza con l’ascesa al potere del Governo Rama, mi sono trovato al centro di una violenta campagna persecutoria da parte delle Autorità albanesi; da imprenditore stimato e dai meriti riconosciuti, che aveva portato ingenti investimenti e centinaia di posti di lavoro nel Paese, ero divenuto il bersaglio da colpire ed eliminare a tutti i costi dalla scena economica del Paese.

Con la violenza tipica dei peggiori autoritarismi, i miei più elementari diritti e gli interessi economici delle società a me riconducibili sono stati brutalmente conculcati e annientati. Sotto la pressione del Governo Rama, fattasi più incalzante a seguito di alcuni reportage trasmessi da Agon Channel in cui si dimostrava l’esistenza di gravissime irregolarità nelle operazioni di voto relative alle elezioni amministrative del 2015, le autorità inquirenti hanno avviato un’indagine del tutto pretestuosa nei confronti del mio gruppo imprenditoriale, miei e di alcuni miei partner, il cui unico vero scopo era quello di costruire una serie di accuse per istruire un processo farsa volto a neutralizzare il progetto televisivo.

Così, partendo da una falsa accusa di riciclaggio in cui si contestava la illecita provenienza dei fondi utilizzati per l’investimento iniziale relativo alle TV – accusa immediatamente caduta, naturalmente, avendo io stesso ed UniCredit inoppugnabilmente dato prova documentale, attraverso le autorità lussemburghesi, della legittima provenienza del danaro investito – , le autorità giudiziarie albanesi hanno iniziato a fabbricare su commissione una sfilza di assurde ipotesi di reato, al solo scopo di mettermi fuori gioco e di distruggere le attività imprenditoriali non allineate agli interessi di Rama e del suo Governo.

Le indagini in questione sono culminate nell’adozione, in data 5 giugno 2015, di una misura di custodia cautelare in carcere nei miei confronti e di alcuni miei partner, nonché di una serie di misure reali di sequestro preventivo e di congelamento dei conti bancari che hanno colpito le varie società albanesi riconducibili al mio gruppo imprenditoriale, determinando l’immediata sospensione di ogni attività, a partire da quelle televisive. Tali sequestri sono stati peraltro illegittimamente estesi anche a tutti i beni e le attrezzature della società Agonset Sh.p.k., che si occupava di gestire il canale ed il relativo centro di produzione internazionale (vero obiettivo dell’azione persecutoria intrapresa dalle autorità albanesi). A seguito di tutte queste illecite condotte governative, conclusesi addirittura con l’interruzione della fornitura della corrente elettrica, l’emittente televisiva è stata costretta a chiudere sia in Albania che in Italia a meno di tre anni dal lancio, con la conseguente risoluzione di più di 400 contratti di lavoro.

Ma ciò che è più grave è che con la richiesta di custodia cautelare in carcere veniva spiccato un mandato di arresto internazionale – con relativa red notice –, a seguito del quale il Governo albanese presentava formale domanda di estradizione sia alle autorità Italiane −, che in soli tre giorni tentavano il mio arresto con un raro dispiegamento di forze −, sia alle autorità Inglesi, le quali, quattro mesi dopo, disponevano misure restrittive della libertà personale (c.d. bail) e l’avvio del procedimento di estradizione.

Rama aveva così realizzato il suo disegno: Agon Channel era stata espropriata e il suo proprietario sarebbe stato presto estradato in Albania.

E infatti, nei giorni immediatamente successivi al mio arresto, il Primo Ministro albanese non mancava di esprimere pubblicamente, sia sui media che sui social network, la sua soddisfazione per il risultato ottenuto con il blocco dei beni di Agon Channel, additandomi, in palese spregio al principio della presunzione di innocenza, come persona responsabile di gravi crimini finanziari e congratulandosi con le “Strutture dello Stato italiano” (intervista resa da Rama alla trasmissione Opinion di TV Klan del 17 giugno 2015) per aver collaborato nel “bloccare la fonte del denaro sporco che alimenta[va] Agon Channel” (così si legge testualmente in un post del Primo Ministro albanese pubblicato il 9 giugno 2015 su Facebook e Twitter). “Strutture” che, evidentemente, non sono quelle preposte per legge, atteso che non vi è traccia della collaborazione prestata ufficialmente dalle autorità italiane competenti.

Non è un caso, dunque, che tutte le azioni giudiziarie da me intraprese in Albania per contestare la legittimità delle misure adottate nei miei confronti e nei confronti delle mie società si siano rivelate infruttuose. Infatti, l’imponente campagna persecutoria è stata resa possibile soltanto grazie al totale, notorio asservimento dell’apparato giudiziario al Governo Rama.

Per tutte queste ragioni, mentre le autorità albanesi proseguivano l’azione persecutoria tra indagini strumentali e processi farsa, io mi rivolgevo ai tribunali internazionali per denunciare la violazione dei miei diritti e di quelli delle mie società.

3. Le azioni intraprese a tutela dei miei diritti 

A)   Tribunale ICSID

L’11 ottobre 2014 e il 17 novembre 2014 inviavo due note di messa in mora al Governo albanese ai sensi della Convenzione ICISD, dichiarandomi disponibile a una soluzione amichevole. A seguito della mancata risposta, il 10 giugno instauravo ai sensi della Convenzione ICSID del 1965 un arbitrato internazionale contro l’Albania, denunciando plurime e gravi violazioni del trattato bilaterale tra Italia e Albania del 1991 sulla protezione e promozione degli investimenti e formulavo domanda di adozione di misure cautelari, in ragione del pregiudizio grave e irreparabile derivante dall’eventuale esecuzione del mandato di arresto e dalla prosecuzione del procedimento penale.

In data 3 marzo 2016, il Tribunale arbitrale ICSID, composto da eminenti giuristi di fama internazionale quali Michael Pryles, Ian Glick e Charles Poncet, all’unanimità accoglieva la domanda di misure cautelari formulata dalle parti ricorrenti, ordinando ad uno Stato (l’Albania) di sospendere immediatamente il procedimento di estradizione avviato dinanzi alle corti inglesi e di sospendere il procedimento penale nell'ambito del quale era stato spiccato il mandato di arresto. Nell’ordinanza si invitavano poi le parti a trovare un accordo sulle misure necessarie alla preservazione dei beni oggetto di sequestro (cfr. Hydro srl and others v Republic of Albania, ICSID Case no. ARB 15/28, Provisional order No. 1, 3 marzo 2016). Tuttavia, in spregio al provvedimento del Tribunale ICSID e perseverando nel proprio atteggiamento persecutorio, l’Albania si rifiutava di adempiere, sostenendo che il Ministro della Giustizia non avrebbe avuto la possibilità di revocare la domanda di estradizione. Una tesi questa talmente assurda e infondata che, in data 20 maggio 2016, la Westminster Magistrates’ Court di Londra riteneva l’Albania responsabile di abuso di processo e disponeva conseguentemente l'immediata chiusura del procedimento di estradizione, con una decisione che l’Albania rinunciava espressamente ad impugnare.

Il contenuto della sentenza della Corte penale inglese è stato reso noto anche in Italia su primari quotidiani nazionali.

Successivamente, in data 1° settembre 2016, dopo aver accertato che non sarei stato estradato, il Tribunale ICSID ha adottato un nuovo provvedimento cautelare in cui prendeva atto dell’abuso di processo da parte dell’Albania accertato dalla Corte penale inglese e ordinava allo Stato albanese di non adottare alcuna misura volta a riassumere il procedimento estradizionale contro la mia persona sino all’adozione del lodo arbitrale definitivo.

B)   Corte europea diritti dell’uomo

In data 21 ottobre 2015, ho altresì presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, lamentando la violazione della presunzione di innocenza garantita dall’art. 6, comma 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 (CEDU), per effetto delle dichiarazioni colpevoliste pubblicamente rese dal Primo Ministro albanese all’indomani dell’emissione del mandato di arresto, nonché la violazione dell'art. 13 CEDU, per assenza di qualsiasi rimedio interno effettivo.

Tale ricorso (registrato il 2 dicembre 2015 con il n. 53488/15) è stato trattato con estrema sollecitudine della Corte europea, la quale, già in data 12 gennaio 2016, ne ha disposto la comunicazione al Governo albanese per l’instaurazione del contraddittorio, che si è definitivamente concluso con il deposito di repliche e controrepliche in data 19 ottobre 2016. Il Governo italiano è stato invitato dalla Corte europea a intervenire nel procedimento in quanto Stato di nazionalità del ricorrente, ma se ne è astenuto.

Anche la società Agonset si è rivolta alla Corte europea dei diritti dell'uomo, con ricorso del 27 maggio 2015 (registrato il 27 giugno 2015 con il n. 33104/15,) per lamentare la violazione del diritto alla libertà di espressione, garantito dall’art. 10 CEDU, e del diritto al rispetto dei beni, tutelato dall' art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU.

Con decisione del 28 agosto 2015, la Corte ha accolto la domanda di trattazione prioritaria del ricorso, il quale è stato, dunque, comunicato al Governo albanese in data 5 novembre 2015 per l’instaurazione del contraddittorio, che si è definitivamente esaurito con il deposito di repliche e controrepliche in data 22 settembre 2016.

La decisione della Corte europea su entrambi i ricorsi è attesa nei prossimi mesi. 

C)   Interpol 

Da ultimo, anche l’Interpol ha accolto il reclamo da me proposto avverso la Red Notice emessa su richiesta delle Autorità albanesi.

In data 25 gennaio 2017, la Commissione per il controllo degli archivi dell’Interpol, rilevando che di fronte alle circostanziate censure del reclamante l’Albania non era stata in grado di fornire alcuna giustificazione del mandato d’arresto confermando così la natura persecutoria delle misure adottate, raccomandava la cancellazione dei dati concernenti la mia persona dall’archivio, ritenendo che la conservazione di tali dati si ponesse in contrasto con le regole costituzionali di funzionamento dell’Interpol.

Dando seguito a tale raccomandazione, il Segretario generale dell'Interpol ha disposto la cancellazione della Red Notice relativa alla mia persona ed ha altresì provveduto a informare tutti gli Stati membri dell’Interpol che qualsiasi ulteriore forma di cooperazione di polizia internazionale con l'Albania, relativamente alla Red Notice cancellata, sarebbe stata considerata contraria alla Costituzione e alle Regole sul trattamento dei dati dell'Organizzazione.

Anche le autorità italiane, che nel giugno 2015 avevano tentato di eseguire il mio arresto sulla base della richiesta formulata dall’Albania in assenza delle condizioni giuridiche stabilite dall’ordinamento italiano, hanno dovuto prendere atto di tale decisione dell’Interpol e hanno, su mia richiesta, confermato l’avvenuta cancellazione del mio nominativo dall’elenco delle persone ricercate.

4. Il lodo reso dal Tribunale arbitrale ICSID

Il 18 aprile 2019, il Tribunale arbitrale ICSID ha emesso, all’unanimità, il lodo, il quale ha accertato che le azioni delle autorità albanesi nei confronti del sottoscritto e dei propri investimenti costituiscono un’espropriazione illegittima in violazione del diritto internazionale nonché “il culmine di una campagna politica contro i ricorrentifinalizzata a tacitare un canale televisivo critico nei confronti del Governo albanese. Per tale ragione, il Tribunale arbitrale ICSID ha condannato la Repubblica albanese a risarcire al sottoscritto e agli altri investitori italiani, la somma di oltre € 110.000.000,00. In particolare, gli arbitri nella citata decisione sono giunti alle conclusioni che si riportano di seguito:

“724. Nel loro iniseme tutte le questioni discusse nei paragrafi 708-719 precedenti sostengono quindi fortemente la conclusione che le Decisioni di Sequestro sono state il culmine di una campagna politica contro i Ricorrenti.

a. Le indagini penali sono state avviate da un Governo vicino ai concorrenti commerciali dei Ricorrenti, operatori dominanti delle emittenti televisive, contro un canale critico nei confronti del Governo.

b. All'inizio di queste indagini, un rappresentante del Governo ha dichiarato esplicitamente che Becchetti avrebbe dovuto parlare con uno di quei concorrenti se voleva capire perché gli investimenti dei Ricorrenti erano sotto inchiesta e che non era una buona idea opporsi allo Stato.

c. Vi erano difetti sostanziali nella base fattuale delle accuse su cui si basavano le indagini penali. Alla richiesta dell’INTERPOL di giustificare le accuse su cui si basavano i mandati di arresto, l’Albania non lo ha fatto.

d. Non appena sono state emesse le decisioni di sequestro, il Primo Ministro ha dichiarato che la sua "lotta" contro investitori quali i Ricorrenti era stata un "successo" e ha continuato a minacciare la magistratura con la motivazione che era in qualche modo implicata nelle presunte violazioni di questi investitori.

725. A differenza del comportamento lamentato dai Ricorrenti in relazione al progetto Kalivac, il Tribunale ritiene che queste attività siano state una deliberata interferenza con l’attività di Agonset e motivate dalle critiche di Agonset al Governo. Il Tribunale trae la conclusione sostenuta dai Ricorrenti e ritiene che la presa di Agonset da parte dell'Albania non è stata un esercizio legittimo dei suoi poteri di polizia. Pertanto, gli investimenti del Sig. De Renzis, Sig. Becchetti, Sig.ra Grigolon e Hydro in Agonset sono stati espropriati in violazione dell'articolo 5 del Trattato.

[...]”.

Al paragrafo 724, lettere (a) e (b), il Tribunale ICSID ha quindi concluso che le indagini penali erano state avviate su pressione di un Governo fazioso, sia perché il Governo Rama era vicino agli interessi di altre emittenti televisive, concorrenti di Agonset, sia per l’ovvia l’avversione alle critiche rivoltegli da Agonset. La decisione ICSID stabilisce quanto segue:

“708. Nonostante ciò, il Governo di Rama era strettamente legato agli operatori dominanti, i concorrenti commerciali di Agonset. Ex dipendenti di questi operatori erano impiegati dal Governo in posizioni chiave. In particolare, il Governo Rama ha nominato Presidente dell’AMA un ex dirigente di uno degli operatori. Lo ha fatto, utilizzando i suoi numeri in Parlamento per non tenere conto dell'obbligo giuridico della partecipazione al processo di selezione del partito di opposizione. Il Presidente che è stato sostituito di conseguenza, era stato oggetto di una sostenuta campagna da parte degli operatori televisivi dominanti per la sua rimozione.

[...]

712. Di maggiore diretta importanza è la prima questione individuata dai Ricorrenti, le dichiarazioni esplicite rese dai rappresentanti del Governo in merito alle motivazioni delle indagini penali. Alla fine del 2013 o all'inizio del 2014, poco dopo che le accuse di riciclaggio di denaro erano state sollevate per la prima volta contro i Ricorrenti, il signor Becchetti ha chiesto al Segretario Generale del Governo del Primo Ministro Rama, Sig Agaçi, perché fossero state avviate queste indagini. Il Sig. Agaçi ha detto che Becchetti avrebbe dovuto parlarne con Enkelejd Joti, Direttore Generale di Top Channel, uno dei concorrenti dominanti di Agonset. Quando il Sig. Becchetti ha chiesto perché avrebbe dovuto parlare con Sig. Joti, il Sig. Agaçi ha detto: "Non è una buona idea opporsi allo Stato".

[...]”

Il paragrafo 724 (c) della Decisione ICSID tratta i "difetti sostanziali" della base fattuale delle accuse nel procedimento penale. L’analisi di questi difetti sostanziali viene particolarmente sviluppata nei paragrafi 716–719 della Decisione ICSID ove si legge quanto segue:

716. I Ricorrenti sottolineano inoltre che le principali accuse su cui si basano i mandati d'arresto e le decisioni di sequestro hanno i seguenti difetti essenziali: 

a. La pretesa che le società stavano riciclando fondi dall’estero è stata invalidata dai documenti che sono stati consegnati al Pubblico Ministero prima di formulare ufficialmente le accuse penali, dimostrando la provenienza legale dei fondi.

b. È stato inoltre affermato che sarebbero state inviate fatture per lavori non eseguiti, nello specifico “lavori a piè dell'opera con materiale selezionato e scavato per la costruzione del corpo diga”. Tuttavia, i rapporti dell'agenzia statale competente in diversi anni dimostrano che i lavori erano stati eseguiti.

c. Per quanto attiene alle affermazioni secondo cui Energji avrebbe fatturato in eccesso per i lavori eseguiti, ulteriori documenti resi disponibili al Procuratotre hanno dimostrato che l’Albania aveva approvato il loro prezzo nel secondo Addendum dell’Accordo di Concessione. Inoltre hanno dimostrato che Deutsche Bank aveva approvato il prezzo stabilito per i lavori nel Contratto tra KGE e Energji.

717. Secondo la legge albanese, tutto ciò che è richiesto per l’emissione di un mandato di arresto è un ragionevole sospetto che sia stato commesso un reato. Per una serie di ragioni dettagliate, esposte nelle sue osservazionii finali, il Convenuto sostiene che tale base ragionevole esisteva nonostante i difetti identificati dai Ricorrenti sulla base dell'indagine penale.

718. Nonostante ciò possa indicare che il mandato d'arresto avesse una base sufficiente ai sensi della legge albanese, questo non è la fine della questione. Come è stato sottolineato, la questione è se, in sostanza, i Ricorrenti possano comprovare che le azioni dell'Albania fossero state motivate da una campagna politica contro di loro. Anche se si ammette che vi fosse una ragionevole base di sospetto riguardo alle accuse che hanno costituito la base dell'indagine penale, i sostanziali difetti identificati dai Ricorrenti forniscono ulteriori basi per dedurre che le motivazioni dell’Albania non erano in buona fede nell'interesse pubblico.

719. Intorno allo stesso periodo in cui sono stati emessi i mandati di arresto, l'INTERPOL ha emesso le "Red Notice ", sulla base della richiesta dell'Albania, per il Sig. Becchetti e Sig. De Renzis. Nel 2016, l’INTERPOL ha ripetutamente chiesto all'Albania di giustificare quelle Red Notice in risposta alle pretese secondo cui erano motivate politicamente, non avevano uno scopo appropriato e mancavano di una base probatoria appropriata. Non ricevendo la risposta richiesta, l’INTERPOL ha ritirato le Red Notice nel 2017.

[...]”

Al paragrafo 724 (d) il Tribunale arbitrale osserva come il Primo Ministro albanese, una volta sequestrati i beni delle imprese a me riferibili, ha dichiarato che la sua “lotta” contro gli investitori era stata portata avanti con “successo”:

713. Nel giugno 2015, poco dopo le decisioni di sequestro (prese in parte sulla base di accuse di riciclaggio di denaro), il Primo Ministro Rama ha dichiarato esplicitamente di considerare il Governo in "guerra" con determinati investitori, compresi i Ricorrenti, e che la guerra aveva riscosso successo. Ha continuato affermando che il Governo "scuoterà le fondamenta del sistema giudiziario" in un modo che quei giudici che sono diventati parte del crimine non possono nemmeno immaginare".

[...]

715. È certamente vero che il Primo Ministro Rama dice che non ha niente contro il Sig. Becchetti. Tuttavia, nell’ambito delle questioni esposte nei paragrafi precedenti, i commenti del Primo Ministro vengono letti nella migliore delle ipotesi come una campagna politica contro, almeno, "quel tipo di investitore", uno dei quali era il Sig. Becchetti. Questa lettura è ulterirmente confermata dalle debolezze identificate nelle accuse di riciclaggio di denaro descritte nei paragrafi seguenti.”

I difetti sostanziali relativi ai fatti posti alla base dell’indagine penale identificati dai Ricorrenti e confermati dal Tribunale ICSID (cfr. par. 716 della Decisione ICSID) non possono che condurre alla conclusione che il procedimento penale non sia stato condotto in buona fede e nell’interesse pubblico. Come indicato al paragrafo 724, lettera (c) della Decisione ICSID stessa: 

“... c. Vi erano difetti sostanziali nella base fattuale delle accuse su cui si basavano le indagini penali. Alla richiesta dell'INTERPOL di giustificare le accuse su cui si basavano i mandati di arresto, l'Albania non lo ha fatto.

II. Sul diritto del cittadino ad ottenere la protezione diplomatica da parte del proprio Stato di cittadinanza nel caso di gravi violazioni dei diritti fondamentali ad opera di uno Stato estero

Posto che ragioni di umanità imporrebbero a qualsiasi Governo di agire immediatamente in protezione di un cittadino che ha subito, e continua a subire, violazioni dei diritti umani fondamentali di tale portata, vi sono altresì ragioni giuridiche connesse all’istituto della protezione diplomatica che rendono ineludibile nel mio caso un tale intervento. Si può affermare infatti che, nel mio caso, gravi in capo al Governo italiano un vero e proprio obbligo di attivarsi affinché l’Albania inizi a rispettare i miei diritti fondamentali e gli obblighi assunti con i trattati.

Tale obbligo è imposto dal diritto internazionale (§ 1), come conferma la giurisprudenza di numerosi corti anche nazionali (§ 2) e la stessa prassi italiana in materia di protezione diplomatica degli investitori all’estero, specie in un caso di accertata violazione degli obblighi derivanti dalla Convenzione ICSID (§ 3), oltre che dal diritto primario dell’Unione europea (§ 4).

1. Sulla nozione di protezione diplomatica nel diritto internazionale generale

La dottrina internazionalistica risalente riteneva che la protezione diplomatica costituisse un atto di natura politica, un diritto degli Stati scevro da qualsiasi vincolo, esercitato al fine di tutelare i soli interessi statuali e non già quelli dei singoli soggetti interessati.

Questo approccio si fondava sull’assenza di soggettività giuridica internazionale dell’individuo e imponeva che, per avere rilevanza internazionale, l’interesse individuale dovesse essere comunque riconducibile a quello statale.

La dottrina e la giurisprudenza più recente, invece, hanno riconosciuto, anche alla luce dell’evoluzione della prassi statale in materia, che l’individuo possa essere autonomo titolare di diritti derivanti da norme internazionali (si veda, per tutte, la sentenza della Corte internazionale di giustizia del 27 giugno 2001 nel caso LaGrand (Germania c. Stati Uniti d’America), specialmente i paragrafi 42 e 78), consentendo una radicale evoluzione dell’istituto della protezione diplomatica. In particolare, nei casi in cui si registrano gravi violazioni di diritti umani – come nella vicenda in esame – sussiste un diritto del cittadino ad essere protetto dal proprio Stato e un corrispondente obbligo in capo a tale Stato di agire mediante gli strumenti leciti a sua disposizione.

Determinante ai fini di una corretta ricostruzione dell’istituto della protezione diplomatica e dei limiti alla libertà di valutazione dello Stato nel concederla è la definizione dell’istituto che proprio l’Italia ha proposto nella Sesta Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in sede di osservazioni al Progetto di articoli sulla protezione diplomatica della Commissione per il diritto internazionale (“CDI”) (cfr. UN Doc. A/CN.4/561/Add.2, 12 aprile 2006, p. 37, § 1). In quella sede, l’Italia ha fortemente raccomandato un linguaggio più esplicito nella codificazione della rilevanza internazionale dei diritti individuali fondamentali, oramai pacifica ai sensi del diritto consuetudinario, come rilevato dalla Corte internazionale di giustizia. Il Governo italiano ha sottolineato che, alla luce della consolidata giurisprudenza internazionale (in particolare, le pronunce della Corte internazionale di Giustizia nei casi LaGrand e Avena e altri) e nazionale, sia definitivamente superata l’interpretazione secondo cui, nell’esercizio della protezione diplomatica, lo Stato agisce meramente a tutela di un diritto proprio, giacché “la violazione di norme di diritto internazionale sul trattamento degli stranieri integra tanto una violazione della sovranità statale quanto una violazione di diritti individuali” (Ibidem).

Inoltre, lo stesso Governo italiano ha riconosciuto che la regola secondo cui la protezione diplomatica è un potere totalmente discrezionale deve necessariamente scontare i limiti della Carta costituzionale, configurandosi, in ipotesi di gravi lesioni di diritti umani, come un dovere (cfr. First report on diplomatic protection di J. Dugard, UN Doc. A/CN.4/506, § 80).

Infine, il Governo italiano ha sostenuto che la discrezionalità dello Stato di cittadinanza nel decidere circa l’intervento in protezione diplomatica viene meno allorché siano in gioco gravi violazioni dei diritti umani. In questi casi, detto intervento è obbligatorio e tutti gli Stati sono tenuti a fornire dei rimedi interni per dare esecuzione al diritto individuale alla protezione diplomatica dinanzi alle competenti corti interne o altri organismi nazionali indipendenti (cfr. CDI, Comments and observations received from Governments, UN Doc. A/CN.4/561, 2006, p. 38)

L’approccio indicato dall’Italia è stato recepito all’art. 19 del Progetto di articoli sulla protezione diplomatica della CDI, intitolato ‘Prassi Raccomandata’, che fissa i criteri di condotta a cui gli Stati devono attenersi nell’esercizio della protezione diplomatica. Il punto a) dell’art 19 stabilisce che: “uno Stato (…) deve tenere in seria considerazione la possibilità di esercitare la protezione diplomatica, soprattutto quando sia stato arrecato un grave pregiudizio”. Il commento ufficiale all’articolo sottolinea il crescente consenso espresso in numerose decisioni di corti nazionali e internazionali nel senso di considerare l’esercizio della protezione diplomatica un obbligo nel caso in cui la violazione leda diritti fondamentali della persona umana. In queste circostanze, recita il commento: “il diritto internazionale già riconosce l’esistenza di obblighi dello Stato di considerare la possibilità di esercitare la protezione diplomatica in favore del proprio cittadino che ha sofferto un danno significativo all’estero. Se il diritto internazionale non ha ancora raggiunto tale stadio di sviluppo, allora la bozza di art. 19 (a) deve essere considerata nell’ottica di un progressivo sviluppo di una prassi in questo senso” (cfr. Draft Articles on Diplomatic Protection with commentaries adopted by the International Law Commission on at its fifty-eighth session, in 2006, and submitted to the General Assembly as a part of the Commission’s report covering the work of that session (A/61/10), YBILC, 2006, vol. II, Part Two, p. 54, par. 3). Nel commento viene inoltre citata la sentenza della Corte Costituzionale sudafricana nel caso Kaunda (Kaunda and others v President of the Republic of South Africa and others, 19 e 20 giugno e 4 agosto 2004) con la quale la Corte stabilisce che, in circostanze ove si verifichi una violazione da parte di uno Stato estero di diritti fondamentali “un’istanza di protezione diplomatica che fornisca chiara evidenza dell’abuso sarebbe difficile se non impossibile da rifiutare. È altamente improbabile che una tale richiesta possa mai essere rifiutata da un Governo, ma se lo fosse, la decisione sarebbe giustiziabile e una corte ordinerebbe al Governo di adottare misure idonee”.

2. Le decisioni di Corti nazionali e internazionali sull’esercizio della protezione diplomatica in caso di violazione gravi di diritti fondamentali 

A partire dai primi anni Ottanta, la giurisprudenza di vari corti nazionali ha riconosciuto l’esistenza di un dovere dello Stato di agire in protezione diplomatica del proprio cittadino in caso di violazione di garanzie di natura costituzionale o di norme internazionali a tutela di diritti fondamentali della persona umana.

È proprio nel solco di queste decisioni che l’Italia e le delegazioni di molti altri Paesi hanno formulato alle Nazioni Unite le osservazioni di cui sopra si è detto, che hanno portato all’inserimento dell’art 19 nei Draft articles on diplomatic protection.

Tra i casi maggiormente rilevanti della prassi internazionale in materia di esercizio della protezione diplomatica per violazioni gravi dei diritti umani si possono citare i seguenti.

A) Caso Rudolph Hess deciso dalla Corte federale tedesca con sentenza del 16 dicembre 1980

Fra le prime decisioni che hanno affrontato il problema in esame occorre richiamare la sentenza della Corte costituzionale federale tedesca del 16 dicembre 1980, nel noto caso Hess, dove la Corte, pur in assenza di una espressa previsione costituzionale che obbligasse le autorità statali ad intervenire in protezione diplomatica, ha preliminarmente osservato che “gli organi della Repubblica federale […] hanno un dovere costituzionale di garantire la protezione diplomatica per i cittadini tedeschi e per i loro interessi nei confronti di stati stranieri”.

Inoltre, riconosciuta al Governo federale “ampia discrezionalità nel decidere se e in che modo garantire la protezione contro stati stranieri”, la Corte ha stabilito che le autorità nazionali debbano comunque conformarsi in materia di protezione diplomatica ai criteri della ragionevolezza e della non arbitrarietà, rilevando in particolare che “il ruolo dei tribunali amministrativi è pertanto limitato al controllo sulle azioni ed omissioni del governo federale per abuso di discrezionalità”.

B) caso HMHK c. Paesi Bassi, deciso dalla Corte d’appello dell'Aja con sentenza del 22 novembre 1984

Il problema dell’obbligo di garantire la protezione diplomatica è stato affrontato anche dalla Corte d'Appello dell'Aja con sentenza del 22 novembre 1984. Accertato in particolare che “ai sensi del diritto olandese [...] allo Stato può essere richiesto di fornire protezione diplomatica”, la Corte ha osservato che il controllo giurisdizionale sull’esercizio del potere discrezionale, di cui è titolare il Governo in tema di protezione diplomatica, è volto a verificare “se l'assistenza fornita fosse di intensità notevolmente inferiore a quella che ci si potesse ragionevolmente attendere dal Governo olandese e dai suoi organi rappresentativi”.

C) caso N. et Consorts c. Confederazione Svizzera deciso dal Tribunale federale svizzero con la sentenza del 6 ottobre 1995

Il Tribunale federale svizzero, nella sentenza del 6 ottobre 1995, ha interpretato estensivamente l'art. 45 bis, comma 1, della Costituzione elvetica, stabilendo che il necessario margine di apprezzamento di cui gode la Confederazione in tema di concessione della protezione diplomatica ai propri cittadini “non significa certamente che essa possa agire arbitrariamente in tale ambito”. Con specifico riguardo all'esame delle misure di protezione diplomatica effettivamente adottate, si è statuito che “dal momento in cui la Confederazione accetta di intervenire, anche in modo blando, questa non deve mai agire in modo da ledere gli interessi dei cittadini svizzeri coinvolti”. In tali circostanze, recita la sentenza, non è esclusa la responsabilità della Confederazione verso i cittadini lesi dalla condotta. Questa sentenza riconosce che la condotta dello Stato in protezione diplomatica non può essere solo formale, perché ciò aggraverebbe nella sostanza la posizione dei cittadini a tutela dei quali essa è finalizzata.

D) caso Abbasi deciso dalla Court of Appeal di Londra con sentenza del 6 novembre 2002

Elementi ulteriori a favore della tesi della compressione della “discrezionalità” statale in materia di protezione diplomatica possono ricavarsi dalla decisione della Court of appeal inglese nel caso Abbasi. La sentenza in oggetto presenta, infatti, alcuni interessanti profili di novità, sia per quanto riguarda la qualificazione della situazione giuridica dell’individuo a favore del quale può essere esercitata la protezione diplomatica, sia in merito alla necessità da parte dello Stato nazionale di valutare, in sede di decisione di agire a livello diplomatico, la natura e la gravità della violazione commessa nei confronti dei propri cittadini.

Con riguardo al primo profilo la Corte ha affermato che “ogni cittadino che abbia subito la violazione di un diritto fondamentale da parte di uno stato estero deve legittimamente attendersi che il Governo britannico non si lavi semplicemente le mani del problema e non lo abbandoni al proprio destino”. Pur riconoscendo la “limitata natura dell'aspettativa” e ammettendo inoltre che “la decisione sul se intraprendere qualsiasi azione e in che modo è a discrezione dei vertici del Governo”, la Corte ha tuttavia osservato, accogliendo la tesi di un limitato controllo giurisdizionale della decisione statale, che ciò “non vuol dire che il procedimento è esente dal sindacato giudiziale, dato che l’aspettativa del cittadino è che la richiesta venga presa in considerazione e che la valutazione del governo in ordine all’opportunità o meno di agire tenga in conto tutti gli elementi del caso”.

Circa il secondo aspetto sopra riferito, relativo all’incidenza del tipo di violazione subita dal cittadino sulla decisione di intervenire in protezione diplomatica, la Corte ha stabilito che, fra i diversi elementi che devono essere tenuti in considerazione dall’autorità statale, “fattore di vitale importanza […] è la natura e la portata dell’ingiustizia” precisando, da un lato che “anche nell’ipotesi di evidente ingiustizia potrebbero esservi ragioni di politica estera che superano per importanza persino quest'ultima e che potrebbero condurre i vertici del Governo al diniego di protezione diplomatica”, ma aggiungendo, dall’altro, che “finché non si sia formata una valutazione in ordine alla gravità dell’ ingiustizia, tale bilanciamento di interessi è impossibile da compiere”.

Coerentemente con l’orientamento in parola, il 7 marzo di quest’anno il Regno Unito ha concesso la protezione diplomatica alla cittadina Nazanin Zaghari. Il ministro degli esteri britannico ha precisato che l’intervento è motivato dal mancato rispetto de parte dell’Iran di primari obblighi derivanti dal diritto internazionale tra cui la violazione del diritto al giusto processo.

E) caso Groupment X c. Consiglio federale, deciso dal Tribunale federale svizzero con sentenza del 2 luglio 2004

Di particolare interesse risulta infine, nella giurisprudenza interna in tema di protezione diplomatica, la sentenza resa il 2 luglio 2004 dal Tribunale federale svizzero nel caso Groupement X.

La sentenza ha ad oggetto il ricorso presentato da una società di diritto svizzero per l'annullamento della decisione del Consiglio federale di rifiutare la protezione diplomatica in una controversia relativa all'applicazione di un contratto di appalto concluso fra tale società e l'Organizzazione europea per la ricerca nucleare (CERN). Il tema di questa importante decisione è quello dell’applicazione di norme convenzionali sulla tutela dei diritti umani, segnatamente l'art. 6 della CEDU (diritto all’equo processo), nell’ipotesi di mancato esercizio della protezione diplomatica da parte dello Stato nazionale. Il tribunale federale elvetico ha ritenuto che l'art. 6 della CEDU imponesse un'interpretazione delle norme costituzionali nel senso che il diritto di accesso ad un tribunale imparziale e indipendente deve essere rispettato anche in materia di controllo sulla decisione governativa di agire (o non) in protezione diplomatica.

3. La prassi italiana in materia di protezione diplomatica degli investitori all’estero e la violazione da parte dell’Albania degli obblighi derivanti dalla Convenzione ICSID

L’obbligo di agire in protezione diplomatica è inoltre corroborato dalla prassi seguita dal Governo italiano in tutti i casi in cui si sono verificate condotte in violazione dei trattati bilaterali in materia di investimenti poste in essere da Stati esteri ai danni di investitori italiani.

A questo proposito giova richiamare due recenti casi in cui l’Italia si è mossa con massima sollecitudine a tutela dei propri cittadini:

  • Nel maggio 2003, a seguito di una controversia arbitrale insorta fra 16 investitori italiani operanti in vari settori (tra cui quello farmaceutico, turistico e alimentare) e lo Stato cubano − controversia in cui gli investitori lamentavano di aver subito una serie di rilevanti pregiudizi in conseguenza della violazione del trattato bilaterale Italia-Cuba del 1993 −, il Governo italiano, prendendo le difese dei propri cittadini, ha azionato contro Cuba un arbitrato fra Stati. Non solo, ma di tutte le richieste presentate dall’Italia in arbitrato, nemmeno una era volta a tutelare direttamente i propri interessi. L’unico risarcimento diretto chiesto dall’Italia a Cuba che non fosse a tutela dei propri investitori è stata la somma simbolica di 1 euro. Segno questo evidente di come l’Italia abbia presentato la domanda soltanto per non lasciare spazio alle eventuali infondate e pretestuose obiezioni che lo Stato cubano avrebbe potuto opporre sulla base della antica concezione per cui la protezione diplomatica è un potere a tutela di interessi riferibili allo Stato. Sicché, con la richiesta simbolica di 1 euro, l’Italia ha anche nei fatti affermato che la protezione diplomatica è un istituto a tutela degli interessi degli individui.

  • Successivamente, nel 2007, a seguito dell’entrata in vigore in Sud Africa di una legge in materia di risorse naturali che avrebbe potuto pregiudicare investitori italiani nel settore, il Governo italiano è intervenuto con solerzia in protezione diplomatica addirittura in via preventiva, cioè prima che qualsiasi controversia fosse concretamente sorta fra i propri investitori e lo Stato sudafricano.

Mi risulta poi che l’Italia sia intervenuta più volte a tutela di investitori italiani che lamentavano di aver subito violazioni dei propri diritti in Albania, ad esempio in relazione alla revoca senza indennizzo delle concessioni in uso delle terre in favore di joint-ventures capitale misto nel settore agricolo, muovendo proteste formali, sostenendo le richieste dei propri cittadini, promuovendo con le competenti autorità una soluzione amichevole delle controversie e partecipando attivamente alle riunioni degli organismi a tal fine costituiti.

I casi sopra richiamati attestano che il Governo italiano fino ad oggi si è attivato a protezione degli interessi dei propri investitori in circostanze molto meno gravi di quelle che mi riguardano.

Non soltanto, infatti, nel caso oggetto della presente Istanza le condotte illecite poste in essere dal Governo di uno Stato estero sono state accertate con sentenza da un Tribunale ICSID – decisione che ai sensi dell’art. 54 della Convenzione ICSID, di cui l’Italia e l’Albania sono parte, ha la stessa efficacia di una sentenza interna passata in giudicato –, ma i pregiudizi sofferti hanno anche integrato la violazione di diritti umani fondamentali. La Decisione ICSID accerta, infatti, che un investitore italiano ed i suoi partners sono stati bersaglio di una campagna politica realizzata da un Governo estero attraverso i propri organi giurisdizionali e di polizia in violazione del diritto internazionale, campagna tuttora in atto.

Oltretutto, l’illecita condotta posta in essere dall’Albania è oggi ulteriormente aggravata dal mancato adempimento del lodo ICSID, obbligo dettato dall’art. 53 (1) della Convenzione ICSID. Infatti, da un lato, l’Albania continua, a distanza di quasi due anni dall’emissione del lodo, a rifiutarsi di risarcire gli investitori dell’ingente danno subito in ottemperanza alle statuizioni del lodo; dall’altro lato, l’Albania si rifiuta di dare esecuzione al lodo nel proprio sistema giuridico così come prescritto dalla Convenzione ICSID, avendo negato, in data 4 marzo 2020, la richiesta di attuazione ed esecuzione del lodo con una decisione arbitraria, irragionevole e gravemente iniqua che si pone in contrasto con gli obblighi dell’Albania ai sensi della Convenzione ICSID e del diritto albanese.

Il rifiuto dell’Albania di ottemperare ed eseguire la Decisione ICSID costituisce una violazione continuativa del diritto internazionale, che giustifica un’azione urgente da parte del Governo italiano in protezione diplomatica. L’esercizio della protezione diplomatica in tale situazione è espressamente contemplato dall’art. 27 (1) della Convenzione ICSID, ai sensi della quale “Nessuno Stato contraente può accordare protezione diplomatica o sollevare rivendicazioni internazionali riguardo a una controversia che uno dei suoi cittadini e un altro Stato contraente hanno, di comune intesa, deciso di sottoporre o già sottoposto alla procedura d’arbitrato in base alla presente Convenzione, salvo che l’altro Contraente non si conformi alla decisione resa per comporre la controversia”.

Inoltre, l’atteggiamento mostrato dall’Albania rispetto ai fatti definitivamente accertati nel procedimento ICSID riflette quello assunto nel procedimento penale ai mio carico dinanzi alle giurisdizioni albanesi, dove le stesse schiaccianti prove (testimoniali e documentali) e le ammissioni del Governo che hanno formato il convincimento del collegio ICSID riguardo alla natura politica delle condotte illecite sono state inspiegabilmente ignorate.

Finché l’Albania non avrà provveduto a dare esecuzione alla Decisione ICSID e ad archiviare le accuse pendenti nei miei confronti − da ben sei anni pende su di me una misura di custodia cautelare in carcere! −, il rischio di incorrere in nuove abusive limitazioni della libertà personale sarà per me ancora e sempre attuale. Ad oggi, circa due anni dopo l’emanazione del lodo, l’Albania non ha ancora revocato il mandato di arresto nei miei confronti e vi è ancora la possibilità che io debba difendermi contro nuove procedure di estradizione.

Il pericolo è reso ancora più grave dal drammatico stato di crisi in cui il sistema giudiziario albanese attualmente versa, così come recentemente riconosciuto dalla Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto (c.d. Commissione di Venezia, organo consultivo del Consiglio d’Europa), la quale, in relazione alla recente riforma della giustizia, ha rilevato: (i) un funzionamento opaco dell’organo incaricato dell’epurazione e (ii) uno stato di paralisi totale dell’attività della Corte costituzionale e della Suprema Corte da oramai più di tre anni[2].

Queste considerazioni mettono in evidenza il fatto che, rifiutandosi di adempiere al lodo ICSID e lasciando in piedi un mandato di arresto a mio carico da più di sei anni, l’Albania sta perseverando nel comportamento persecutorio nei miei riguardi.

L’obbligo da parte del Governo italiano di agire in protezione diplomatica nel mio caso è perfettamente in linea con la norma consuetudinaria di cui all’art. 19 del menzionato Progetto di Articoli sulla protezione diplomatica del 2006, che impone l’intervento dello Stato in caso di violazione di diritti umani fondamentali.

Giova ricordare che, proprio in accoglimento della raccomandazione formulata all’art. 19 del suddetto Progetto di articoli di proteggere i privati in caso di significative violazioni dei diritti umani, la Corte di Cassazione italiana, a Sezioni Unite, ha stabilito che le valutazioni del Governo in merito alle misure da adottare in risposta alle violazioni dei diritti umani devono essere tese al rispetto dei caratteri della ragionevolezza, non arbitrarietà e proporzionalità (Cass., Sez. Un., 19 ottobre 2011, n. 21581).

Nell’ottica di un esercizio della protezione diplomatica improntato ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, oltre che di uguaglianza di trattamento di situazioni eguali, alla luce dei quali si impone all’Italia di agire coerentemente con le misure adottate in altre circostanze, viene in rilievo, ancora una volta, la prassi adottata dall’Italia nei due casi sopra menzionati (cfr. al caso dell’arbitrato interstatale con Cuba e la protezione diplomatica preventiva degli investitori in Sudafrica): il confronto del caso in esame con i due precedenti renderebbe un eventuale diniego di protezione diplomatica un atto contro la mia persona.

Inoltre, un eventuale diverso trattamento di situazioni eguali costituirebbe una violazione di rilievo costituzionale, con particolare riguardo all’art. 3 della Costituzione che sancisce il principio di uguaglianza.

Infine, nel valutare le azioni da intraprendere in risposta ad una richiesta di protezione diplomatica da parte di un proprio cittadino, il Governo italiano deve rispettare il diritto dell’Unione europea e allineare la propria azione alla prassi adottata dagli Stati membri e dall’Unione Europea in casi analoghi.

4. La protezione diplomatica in materia di investimenti nel diritto dell’Unione europea.

La disciplina dettata dal diritto dell’Unione europea conferma la sussistenza di un obbligo di agire in protezione degli investimenti di operatori europei in Paesi terzi.

Il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) ha fissato tra gli obiettivi per il consolidamento della politica commerciale comune l’attribuzione della materia degli investimenti diretti esteri alla competenza dell'Unione (art. 3, par. 1, lettera e), e art. 207, par. 1).

Di tale forte ed inequivocabile indirizzo si sono avute concrete e importanti manifestazioni con le iniziative adottate dall’Unione nel caso che ha coinvolto l’impresa energetica spagnola Repsol e la Repubblica Argentina, caso in cui lo Stato sudamericano, inadempiente agli obblighi derivanti dai trattati bilaterali in materia di investimenti, ha perpetrato condotte espropriative ai danni dell’impresa europea. In quell’occasione, l’Unione europea (nella persona del Commissario al commercio Karel De Gucht) ha motivato il proprio intervento a supporto delle azioni intraprese dalle autorità spagnole, chiarendo che l’invito a tutti gli Stati membri a irrogare sanzioni contro l’Argentina “garantirà certezza legale ed effettività ai trattati bilaterali stipulati fra i nostri Stati membri e gli stati terzi, in vista di una sostituzione di questi ultimi con accordi stipulati a livello collettivo. Questa linea proteggerà gli investimenti europei all’estero e garantirà effettività alle tutele parallelamente azionate dagli investitori europei per vie legali. […] L’ ambizione è che ogni investitore europeo abbia eguale protezione dei propri investimenti in Stati terzi, cosa che fino ad oggi è stata concretamente assicurata soltanto da alcuni Stati membri”.

È evidente, dunque, che il diritto dell’Unione europea, nei casi di istanza di protezione diplomatica per violazione di trattati sugli investimenti in cui si dia prova dell’avvenuto accertamento di gravi condotte illecite da parte dello Stato terzo, impone a ogni Stato membro di dare seguito alle richieste di protezione di un proprio cittadino e di porre in essere misure efficaci ed effettive a tutela dell’investitore e dell’intera Unione, assicurando la coercizione degli obblighi internazionali violati dagli Stati terzi. A tale obbligo si aggiunge, ovviamente, quello di rendere edotte le istituzioni europee dell’istanza di protezione, come ha provveduto a fare con sollecitudine la Spagna nel caso Repsol – dove peraltro non esisteva, come nel caso in esame, un lodo definitivo dell’ICSID.

Qualora l’Italia non adottasse i dovuti provvedimenti a tutela della mia persona e, parallelamente, continuasse a supportare l’Albania nella sua richiesta di ingresso nell’Unione europea, essa stessa si porrebbe ai margini del processo decisionale dell’Unione che, allo stato, nega fondatamente all’Albania del Premier Rama l’apertura del negoziato per l’adesione.

Infine, sempre per quanto attiene alla doverosità dell’azione in protezione diplomatica derivante dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea ed alla sovra-ordinazione del diritto dell’Unione europea rispetto alle fonti interne, va evidenziato che un eventuale diniego violerebbe i principi fondamentali dei Trattati istitutivi. Infatti, una condotta arbitraria nella scelta se concedere o meno la protezione diplomatica rappresenta anche una violazione delle regole del mercato unico, la cui libera concorrenza risulterebbe alterata per il solo fatto che gli investitori italiani – e in particolare il sottoscritto – sarebbero penalizzati al cospetto degli altri investitori europei ai quali, come detto, è assicurata protezione tanto alla stregua del diritto interno dei singoli Stati membri, quanto alla stregua del diritto sovranazionale.

III. Conclusioni

Sulla base delle considerazioni che precedono, la protezione diplomatica richiesta dovrà essermi necessariamente concessa. Il Tribunale ICSID ha, invero, accertato che l’Albania ha violato il diritto internazionale nella sua campagna politica contro di me ed i miei partners. Tuttavia, nonostante la natura vincolante della Decisione ICSID, l’Albania si rifiuta di ottemperare ai suoi obblighi in base alla Convenzione ICSID. Tale condotta costituisce, come detto, una violazione rilevante sul piano internazionale e lesiva dei più elementari diritti umani.

Tra i diritti costituzionali di cui ho subito la violazione vi è, in primo luogo, il diritto alla libertà personale di cui all'art. 13 della nostra Costituzione. Mi ritrovo, infatti, da sei anni impossibilitato a lasciare l’unico Paese che si è dimostrato imparziale e giusto nei miei riguardi e che − compatibilmente con il mio status di cittadino straniero − mi ha protetto e salvato da una sorte drammatica.

Il mancato intervento in protezione diplomatica mi costringerebbe a continuare a vivere a Londra, dopo sei anni di lockdown, per evitare il rischio di essere ingiustamente arrestato in qualunque parte del modo ove io possa trovarmi ed a difendermi da un provvedimento ingiusto di custodia cautelare ancora efficace, emesso per reati palesemente mai commessi e contestati in un processo farsa dalle corti di uno Stato che da quasi un decennio non conosce la giustizia e la democrazia.

In secondo luogo, l’ulteriore diritto costituzionale di cui ho subito la violazione è, all’evidenza, il “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, di cui all’art. 21 della Costituzione. I fatti esposti dimostrano, infatti, che il Governo albanese ha operato al solo scopo di imbavagliare Agon Channel, una delle poche voci libere di quel Paese. A conferma degli accertamenti del Tribunale ICSID, il 19 giugno 2020 la Commissione di Venezia ha emesso un rapporto sulla situazione dei media in Albania in cui ha rilevato la mancanza di libertà di stampa (cfr. Commissione di Venezia, Opinion on Draft amendments to Law N. 97/2013 on the audiovisional media service, 19 giugno 2020, par. 17).

Infine, è stato palesemente violato, il mio diritto alla libera iniziativa economica e al godimento della proprietà di cui agli artt. 41 e 42 della Costituzione, nonché il diritto a godere della tutela del lavoro italiano all'estero, di cui all’art. 35, comma 3, della Costituzione. Il Governo albanese ha infatti espropriato tutti i miei beni in Albania e ha azzerato tutti gli investimenti da me effettuati in quel Paese. Tutto ciò contro ogni principio di diritto e al solo scopo di eliminare quello che veniva erroneamente percepito come un avversario politico.

La decisione definitiva dell’ICSID rappresenta un rilevantissimo elemento di evoluzione delle circostanze, che si attaglia perfettamente al precedente enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 21581/2011. Infatti, risulta oggi accertato che il comportamento tenuto dalle Autorità governative e dalla magistratura albanesi ha ripetutamente e dolosamente violato i diritti umani fondamentali di un cittadino italiano ed europeo; così come è oggi acclarato che il Governo albanese sta violando l’art. 53 (1) della Convenzione ICSID rifiutandosi di dare esecuzione alla decisione arbitrale.

Tali circostanze escludono la discrezionalità del Governo italiano nella valutazione della mia istanza di protezione diplomatica obbligandolo, non soltanto a prenderla seriamente in considerazione, ma anche a concederla al fine di assicurare il rispetto degli obblighi derivanti dalla Convenzione ICSID, di cui l’Italia è parte.

In altre parole, non può più dirsi che la concessione della protezione diplomatica sia un “atto politico libero nei fini perché riconducibile a supreme scelte in materia di costituzione, salvaguardia e funzionamento dei pubblici poteri”, atteso che la Convenzione ICSID impone a tutti gli Stati parte il rispetto degli accertamenti effettuati dai tribunali arbitrali, contemplando espressamente, all’art. 27(1), l’azione in protezione diplomatica dello Stato di nazionalità dell’investitore nel caso di mancata ottemperanza e mancata esecuzione del lodo arbitrale.

Di fronte a un tale quadro fattuale e giuridico, dunque, non si vede come possa il Governo italiano negare la mia richiesta di protezione diplomatica.

Né un eventuale diniego potrebbe essere motivato da un’ipotetica ragion di Stato finalizzata a non compromettere i rapporti con altri Stati, essendo nella specie l'Albania uno Stato fortemente dipendente sul piano economico e politico da quello italiano. Sul punto vale la pena richiamare una delle molte decisioni in cui tribunali internazionali hanno ritenuto che la valutazione in ordine all’agire o meno in protezione diplomatica deve anche avere riguardo allo specifico rapporto politico ed economico esistente fra i due stati in questione (cfr. Banro American Resources, Inc. and Société Aurifère du Kivu et du Maniema S.A.R.L v. Democratic Republic of Congo, ICSID case n. ARB/98/7, Award, 1° settembre, 2000). Se il Governo italiano non fosse davvero in grado di intervenire a tutela di un suo cittadino nei confronti del Governo albanese, si farebbe fatica ad immaginare in quale altro caso e rispetto a quale altro Stato potrebbe essere concessa la protezione diplomatica.

Si ribadisce che, anche qualora per assurdo il Governo italiano dovesse decidere di non concedere la protezione diplomatica richiesta, è evidente che sarebbe comunque obbligatoria una espressa e motivata risposta alla mia Istanza che spieghi le ragioni (all’evidenza, inesistenti) della scelta di non agire a mia tutela.

Devono essere chiare, infatti, per il richiedente e per tutta l'opinione pubblica le eventuali ragioni che dovessero indurre il Governo italiano a negare la protezione diplomatica ad un proprio cittadino vittima di un’ingiusta persecuzione.

In considerazione di quanto precede, chiedo alle SSLL di voler intervenire in protezione diplomatica della mia persona affinché l’Albania ponga fine all’azione persecutoria nei miei confronti e dia integrale esecuzione alla Decisione ICSID, provvedendo altresì al pagamento del risarcimento dovuto in base alla stessa.

In attesa in un Vostro riscontro, che sono certo giungerà in tempi rapidi, porgo i miei ossequi.

In fede,

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1 Le criticità del contesto mediatico albanese sono messe in luce dal duro rapporto adottato dalla Commissione di Venezia del 19 giugno 2020 – Opinion on Draft Amendments to Law N° 97/2013 on the Audiovisual Media Service (CDL-AD(2020)013).

2 Cfr. Commissione Venezia, Opinion on the Appointment of Judges to the Constitutional Court, 19 giugno 2020, CDL- AD(2020)010.